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#66. UNA SCUSA PER TUTTI, TUTTI PER UNA SCUSA!

“Non ho più vent’anni, ormai devo andarci piano”.
“Devo pagare il mutuo, altrimenti adesso non sarei certo qui a fare questo maledetto lavoro”.
“Sono ancora troppo giovane per fare qualcosa di importante”.
“Si certo, magari! Prova tu con dei figli e una famiglia”.

Di scuse ce ne sono a vagonate e molto probabilmente ognuna di queste ha un motivo plausibile per esistere. Anche chi raggiunge il successo (ammesso che si possa raggiungere un vero successo) è tormentato da dubbi e ripensamenti; chiunque inventa delle scuse, l’unica differenza è che chi è già “ad un certo livello”, le ha ignorate prima. Ne abbiamo già parlato qui.

Pensare “non so se ce la faccio” è normale, e dovremmo accettare di buon grado questo sentimento cercando di capirne le motivazioni profonde. Ma è solo dopo un’attenta analisi di ciò che ci frena capiremo se davvero non siamo in grado di fare una determinata cosa. Spesso è la mancanza di tempo e di concentrazione che ci fa trovare qualche scappatoia per non affrontare ciò che vorremmo veramente fare. “Andiamo al cinema? Eh, ma piove…

Tutti gli ostacoli andrebbero in qualche modo superati, raggirati. Certo quando un ostacolo è auto-imposto la cosa si fa decisamente più complessa, ma sarebbe opportuno non aggiungere prove ad una vita che già non ci risparmia nulla.

Quella della scusa è, di fatto, una rinuncia e le rinunce creano frustrazione. Se ci manca il coraggio per iniziare, abbiamo già perso in partenza.

Un giorno Charles Robert Watts, che aveva un ottimo impiego presso un’agenzia pubblicitaria di Londra, andò dal suo capo e disse: “Salve, io mi licenzio, voglio suonare la batteria”. Il capo, sorpreso, rispose “non sapevo suonassi la batteria”. “Infatti, non la suono. Comincio!”. Nel 1963 si unì in pianta stabile ad altri quattro “strani” individui che rispondevano al nome di Jagger, Richards, Wyman e Jones. Quei quattro avevano fondato e Watts era entrato in una delle band più leggendarie della storia della musica.

Keypoint: le scuse sono uno strumento prezioso se usato con parsimonia e cautela, ma non dovrebbero MAI diventare il nostro modus operandi. Usiamole come pause, non come traguardi.

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