#30. L’ANSIA DELL’INCOMPIUTO

Avevo in mente di realizzare un progetto di musica elettronica composto da una decina di brani, e di accompagnare ognuno di essi con una diversa coreografia. Ho iniziato, mi sembrava bello, ma restò incompiuto. Non riuscii a finirlo. Fallii. Non solo quella volta, tante volte. 

Quando pensiamo – io per primo – ad un progetto non finito, la prima cosa che ci viene in mente è fallimento. Se non finisci qualcosa sei stato sconfitto, non hai avuto abbastanza tenacia, non hai creduto abbastanza nel tuo “sogno“. Magari anche qualche sfiga ci potrebbe essere stata, comunque non è questo il caso. Ho lasciato perdere. Pentito? Forse un po’ sì, in fondo mi piaceva e sembrava che venisse bene…

Anche non finire un libro è visto come un vizio, una cattiva abitudine, un segno di incostanza e inconcludenza…in effetti come si può fare affidamento sull’opinione di chi decide di piantare in asso una storia? E come facciamo a dare adito ad un artista che non conclude un’opera? E un professionista che non finisce un progetto è forse credibile e coscienzioso? 

Nonostante i tanti pregiudizi, però, sembra che smettere di leggere un libro e non finirlo mai non sia poi così grave. Anche Bookriot, uno dei blog letterari più famosi e originali degli Stati Uniti, ha dedicato un articolo a questa “simpatica” consuetudine. 

Quante  volte ci chiediamo come facciano gli altri ad andare a correre, a concludere la stesura di un libro, a fare una dieta, a finire un progetto con determinazione? Che si tratti della dieta, di un libro, di un esame, della palestra, di un film, il punto è sempre lo stesso: non lo finiamo. Ma è una questione di percezione.

In realtà sono tante le cose che portiamo a termine, il problema è che ci concentriamo su ciò che NON abbiamo finito perché la mente umana ricorda con più facilità gli errori e gli insuccessi, rispetto ai successi.

I Prigioni” di Michelangelo sono tra le opere più importanti e conosciute dell’artista, e la potenza sta proprio nello stato di incompiuto. Leonardo da Vinci iniziò “L’adorazione dei magi” nel 1481 senza mai concluderlo. E’ considerato un dipinto dal valore artistico unico, perché mostra come lavorava Leonardo. 

La Messa da Requiem in re minore K626 di Wolfgang Amadeus Mozart non venne mai completata. Al tempo della composizione del Requiem, Mozart soffriva di febbri debilitanti e usava le poche forze rimaste per scrivere la sua musica, questo, forse, spiega l’incompiutezza del Requiem.

Per non parlare dei libri mai finiti. “Il partigiano Johnny”, il capolavoro di Beppe Fenoglio, incompiuto ma che, grazie ad un ottimo lavoro della Einaudi, vide comunque la luce. Ricordiamo la più recente trilogia Millennium di Stieg Larsson che ha dato il La ai film “Uomini che odiano le donne”.

E ancora “Il mistero di Edwin Drood” di Charles Dickens, “America” di Franz Kafka, “Petrolio” di Pier Paolo Pasolini.

L’elenco potrebbe essere molto lungo, e a volte doloroso, ma tant’è. Non dobbiamo pensare ad un’opera incompiuta come ad un fallimento; credo sia più corretto vedere quel progetto mai finito come la vera essenza della vita perché, tutto sommato, nulla si compie in modo definitivo. Anche l’opera pittorica, architettonica o musicale non è – solo – da considerarsi un unicum distaccato dalla storia artistica o professionale di ognuno di noi. E’ il risultato di una maturazione pregressa e, al contempo, segna una milestone per le trasformazione che avremo nel futuro.

Ho usato il pretesto della mia “opera” incompiuta (e questa è solo una delle migliaia!) solo per incoraggiarmi e incoraggiare chi si ritrova a fare i conti con quelli che, in fondo in fondo, non sono fallimenti. Ah, lungi da me paragonarmi ad uno solo dei personaggi citati. 🙂  

Keypoint: non ci si arrende davanti ad un incompiuto, si cresce. 

 

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