emotività digitale

#166. EMOTIVITÀ DIGITALE (Algorithm is the king)

Durante una lunga intervista fatta da Joseph Gelmis, Stanley Kubrick parlò di emotività digitale; non esattamente in questi termini, ma introdusse un concetto che quarantanni fa non era così scontato. In particolare Gelmis chiese al regista: “Perché il computer era più emotivo degli esseri umani?

Kubrick: “A quanto pare questa caratteristica ha colpito particolarmente alcuni dei critici sfavorevoli, che hanno ritenuto un punto debole di quella parte del film il fatto che l’interesse si concentrasse più su HAL che sugli astronauti. In effetti il computer è il personaggio centrale in questo segmento della storia. Se HAL fosse stato un essere umano, sarebbe apparso ovvio a tutti che aveva la parte migliore, e che era il personaggio più interessante: prendeva tutte le iniziative, e tutti i problemi avevano a che fare con lui ed erano causati da lui.

A quanto pare, secondo alcuni critici, dato che siamo riusciti a far sì che una voce, la lente di una cinepresa e una luce prendessero vita come personaggi, questo significa per forza che i personaggi umani sono un fallimento totale. In effetti credo che gli astronauti abbiano reagito in modo appropriato e realistico alla loro situazione. Una delle cose che cercavamo di rappresentare in questa parte del film è la realtà di un mondo popolato (come presto sarà il nostro) da entità meccaniche che hanno altrettanta intelligenza degli esseri umani, se non di più, e che nella loro personalità hanno lo stesso potenziale emotivo degli esseri umani. Volevamo stimolare la gente a chiedersi che effetto farebbe dividere il pianeta con creature del genere

Nel caso specifico di HAL, lui attraversava un’acuta crisi emotiva perché non poteva accettare l’evidenza della sua fallibilità. L’idea di un computer nevrotico non è insolita: la maggior parte dei teorici informatici più avanzati pensano che, una volta sviluppato un computer più intelligente dell’uomo e capace di imparare dall’esperienza, sarà inevitabile che sviluppi una gamma equivalente di emozioni: paura, amore, odio, invidia, e via dicendo. Una macchina del genere alla fine potrebbe diventare incomprensibile quanto un essere umano, e naturalmente potrebbe avere un esaurimento nervoso, proprio come HAL nel film.

Il film in questione, come si era ampiamente intuito, è “2001: Odissea nello spazio” ed è interessante leggere l’opinione del regista sapendo che il film uscì nelle sale il 12 dicembre 1968, prima del primo sbarco sulla luna e prima del progetto ARPANET, progenitore della rete internet. Kubrick aveva quarantanni quando uscì il film, era un uomo, con delle idee ben precise e con una “visione” piuttosto originale, ma questo non gli impedì di capire in che direzione sarebbe andato il mondo. Ci arrivò con l’intuizione, ovviamente, ma soprattutto osservando ciò che lo circondava. 

Inutile pensare che, oggi, ci possa essere un’inversione di tendenza: il progresso non si può fermare, va avanti da solo, non aspetta nessuno e non sa esattamente dove sta andando perché si autodefinisce giorno dopo giorno, successo dopo successo, fallimento dopo fallimento. Ci stiamo sempre più spostando verso ad una vita ibrida tra digitale e analogico; la frase “essere famosi su facebook è come essere ricchi a monopoli“, ahimè, non vale più. In realtà se sei famoso in rete, lo sei, punto. E lo sei perché hai usato – a volte inconsapevolmente – delle strategie. Capisco la tendenza a voler ridimensionare il fenomeno, ma prima ce ne rendiamo conto e meno saremo consumati dal chiederci “come è possibile?” Nemmeno l’abusato assunto “Content is the king” non ha un gran senso. Al di là del fatto che la qualità di ciò che licenziamo non dovrebbe mai essere sotto una certa soglia accettabile, il valore assoluto del contenuto, di per se, non esiste. Gli elementi che entrano in gioco sono molteplici e la qualità del contenuto non è più nemmeno in classifica: 

➡ target al quale ci si rivolge
➡ nicchia comunicativa
➡ budget per la promozione
➡ rete di contatti (virtuali e digitali)
➡ conoscenza approfondita degli algoritmi 
➡ conoscenza approfondita delle piattaforme
➡ conoscenza approfondita del mercato di riferimento
➡ perseveranza
➡ capacità di accettare i fallimenti 
➡ gestione attenta del successo temporaneo 

Insomma, prima di arrivare alla qualità del contenuto, che vogliamo credere che sia ovvio, abbiamo un bel po’ di strada da fare e l’emotività digitale gioca un ruolo centrale. Ognuno di noi è, può o fa personal-brand, e a molti non va poi così male, ma “content” non è più the King…ora Algorithm is “the king” e chi domina – nel limite del possibile – l’algoritmo, è due passi avanti. Perché l’algoritmo, oggi, è la nuova frontiera del mistero. 

Keypoint: per non rischiare esaurimenti nervosi digitali, dobbiamo fare pace con il nostro algoritmo. 🙂 

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