La calma è una virtù, non la privazione. Ognuno di noi ha bisogno di avere tempo per non fare nulla, ma richiedere a noi stessi di difendere – e lottare – per questo diritto all’ozio richiede coraggio, convinzione e malleabilità.
Tali spazi di quiete e tranquillità potrebbero sconvolgere gli equilibri e mettere in difficoltà chi ci sta intorno. Se non lo abbiamo mai fatto e, improvvisamente, decidiamo di cominciare a prendere questi spazi, famiglia, amici e colleghi, potrebbero interpretare questa nostra volontà come un allontanamento. In realtà si tratta invece…proprio di questo! Ne abbiamo parlato anche qui.
Per essere creativo (o per ambire a diventarlo) le pause sono fondamentali, e assolutamente necessarie; senza di esse il nostro “artista interiore” si sente assediato, vessato, accumula rabbia, gli obiettivi si rendono confusi, aumentando vieppiù la frustrazione. Se poi questa privazione dell’ozio si protrae nel tempo, rischiamo di diventare tetri, depressi ed ostili.
Un artista – e non solo lui – ha bisogno di nutrimento creativo, di solitudine ispiratrice e terapeutica. Il rischio, poi, è quello di boicottare se stessi tranciandosi le gambe (e i sogni) cercando di risultare “gentili”, senza rendersi conto che il prezzo che andremo a pagare sarà terribilmente alto.
Una professionista, in gamba, lavoratrice instancabile, vorrebbe frequentare un corso di pittura ad olio, ma gli orari si accavallano proprio con quelli degli allenamenti del figlio: si sentirà in colpa, rinuncerà al corso per giocare il ruolo della buona madre…frustrazione assicurata. Un papà, appassionato di musica, desidera un piccolo spazio da adibire a studio, per scrivere le sue composizioni.
Ma la spesa compromette il budget adibito per l’acquisto di un divano nuovo. Risultato? Papà scontento e divanone nuovo che troneggia tronfio in salotto. Un dipendente di un affollato ufficio agogna un breve vacanza in solitudine, anche una sola notte, ma appare talmente egoista e fuori luogo che, per apparire “virtuoso” nei confronti della compagna, o del compagno, non soddisfa il proprio desiderio. Scontento.
LA TRAPPOLA DELLA “VIRTÙ”
Troppa virtù fa male. Prima di tutto a se stessi poi, se perpetrata nel tempo, anche a chi ci sta vicino, perché subirà tutte le nostre frustrazioni e ingiurie. Ingiustamente. Molti hanno fatto della privazione una virtù, andando incontro ad una lunga e sofferente castrazione del nostro Io più intimo e prezioso, affondando le basi nella convinzione che buono sia sinonimo di superiore. La realtà è che, come in tanti altri casi, siamo di fronte ad una trappola vera e propria.
L’impulso di essere sempre saggi, “buoni” e maturi, portandoci a rinunciare a noi stessi, rischia di essere non solo invalidante, ma addirittura fatale. Quante volte abbiamo detto a chi ha saputo prendersi i propri spazi “hai fatto proprio bene!”
Il nostro vero IO è una persona pericolosa, assai vera e, per questo, scomoda. Sa esattamente quando sarebbe il caso di dire sì e quando, invece, un no sarebbe la salvezza, ma ci cadiamo puntualmente, e restiamo fregati. Presi in trappola non abbiamo nemmeno il coraggio di chiederci: “Quali sono le mie esigenze? Cosa farei se la cosa non risultasse così egoista?
Questo non significa che dobbiamo diventare degli egoisti pronti a tutto pur di non avere scocciature, ma una piccola dose di salvaguardia nei confronti di se stessi è necessaria per la sopravvivenza, non solo biologica, ma anche spirituale.
L’egoismo non consiste nel vivere come vogliamo, ma volere che gli altri vivano come noi.