La paura è ciò che, istintivamente, ci dovrebbe guidare verso la sopravvivenza, una sorta di sistema automatico che utilizziamo prontamente in caso di pericolo. Funziona da sempre, da migliaia di anni, ma non sappiamo chi è stato il primo essere vivente ad avere paura. E’ un sentimento antico, dal sapore ancestrale e che non ha nulla a che vedere con i costrutti e sostrati che, man mano ci si evolveva, ci siamo costruiti per gli altri sentimenti come l’amore, l’affetto e altre amenità. La pura ha a che fare con qualcosa di più profondo, che scava e che, in forme diverse, non ci abbandona mai.
Anche se non dobbiamo più sfuggire ai predatori, saper cogliere una situazione di pericolo con anticipo è un’importante risorsa di salvaguardia: abbiamo a che fare con pericoli ben più subdoli e che spesso si travestono da opportunità e che, la nostra paura un po’ atrofizzata, fatica a segnalarci. D’altro canto viviamo tutti situazioni in cui, invece, ci sentiamo smarriti, nudi e non riusciamo ad affrontare situazioni apparentemente banali.
Alessandro Manzoni introduce come primo personaggio de “I Promessi Sposi“, Don Abbondio, considerato la quinta essenza della paura, un personaggio pavido, debole, che ha paura di tutto e che aspira solo a tutelare miseramente il suo piccolo mondo. Quando Don Abbondio viene intercettato dai Bravi, non ci pensa due volte a “calare le braghe“. Ma allora è un codardo! Ma insomma si può avere paura oppure no? Avere dei timori è da deboli oppure è da persone equilibrate?
Avere paura è una reazione che indica uno stato di salute mentale e sociale equilibrato. Se la paura non è bloccante ma, anzi, ci sprona all’azione allora non solo è benvenuta, ma va cercata e consumata: la cosa intelligente da fare, a seconda delle situazioni in cui ci troviamo può essere la lotta, la fuga, l’accondiscendenza. Ognuno ha un suo modo di reagire, l’importante è reagire. Anche la fuga è una reazione, quella principale.
DALLA PAURA SI PUO’ SCAPPARE?
Ci sono alcune paure che possiamo cercare di superare? Esistono paure che, in fondo, non dovremmo avere? Credo sia piuttosto complesso fare una classifica di ciò che spaventa in senso assoluto; ognuno di noi ha paure e fobie estremamente personali e che cambiano a seconda dell’area in cui viviamo, dalle esperienze che abbiamo vissuto e dal carattere che ci siamo costruiti. Importanti studi sulle emozioni, sia a livello neurofisiologico che psicologico, mostrano come sia possibile affrontare in modo adeguato un pericolo solamente grazie alla percezione della paura, ribaltando completamente il luogo comune che vuole la persona forte priva di paure e pronta a superare ogni ostacolo.
La paura non è una condanna, uno status che viviamo in modo passivo ma, piuttosto, è un sofisticato workflow del nostro organismo che ci permette, nel giro di pochissimo tempo (frazioni di secondo a volte), di rielaborare le informazioni che ci arrivano, capire cosa sta succedendo ed elaborare una strategia che, a seconda dei casi, può cambiare. Quante volte, in preda al panico, abbiamo fatto qualcosa che, ripensandoci, non siamo riusciti nemmeno noi a capire come sia stato possibile fare quel salto, correre così veloci, affrontare quella situazione? Sopravviviamo perché abbiamo paura, non perché non l’abbiamo. 🙂
Nel saggio sulla paura, Rush Dozier propone di modificare l’accezione “homo sapiens” in “uomo timoroso“, indicando che l’essere umano è la specie animale che ha sviluppato più paure di qualsiasi altro essere vivente, descrivendoci così: “Il nostro cervello alberga molte più paure rispetto a tutti gli altri animali. Perché? Perché siamo inadatti e vulnerabili a qualsiasi mutamento climatico, a ogni predatore e ad ogni malattia. Secondo il metro della natura, il singolo individuo umano è nudo, debole, inerme e goffo. non abbiamo la velocità del giaguaro, né la forza del leone, né la vista di un falco o la resistenza di un cammello“.
La paura è intelligenza. All’interno di un sentimento così complesso c’è la capacità di valutazione, l’amore per il rischio, la comunicazione di quello che proviamo, c’è il ricordo di quello che abbiamo vissuto e la possibile narrazione di ciò che sarà.