felicità

#162. L’INDUSTRIA DELLA FELICITA’ NEL VILLAGGIO GLOBALE

Come faccio a trovare la felicità? Come posso dare una risposta efficace, consistente?
Vale la pena partire dall’osservazione di come il successo di alcune dottrine orientali, soprattutto quelle legate alla pace, alla felicità e alla ricerca dell’equilibrio, si saldi con certe applicazioni psicologiche positive legate alla ricerca della felicità personale ed economica. In teoria queste discipline dovrebbero aiutarci a capire come condurre una vita più serena…ma in realtà stiamo cadendo in una trappola più subdola, fatta di inquietante conformismo e controllo delle masse. 

L’idea della psicologia positiva è che il malessere sia generato dall’individualismo e che la motivazione più forte si ottiene con il confronto e lo scambio.  Di fatto però la soluzione tanto decantata va in direzione opposta a quella auspicata, amplificando lo stato di malessere dell’essere umano. Da un lato si intendono le relazioni umane in termini strumentali, cioè sulla base di quanto giovino alla nostra felicità personale. Dall’altro il benessere individuale è misurato costantemente, così da renderlo “merce” di confronto e competizione, il che porta, inevitabilmente a frustrazione e senso di inadeguatezza. 

E’ così che viene alimentata l’angosciosa riflessione sul proprio valore confrontato a quello degli altri che sfocia puntualmente in dannose crisi esistenziali. Il processo di confronto – indispensabile se usato con l’adeguata parsimonia – è uno strumento di controllo straordinariamente efficace. Utilizzato da sempre, fin dalla notte dei tempi, il “paragone” che permette l’indebolimento del singolo, è una tecnica utilizzata in ogni ambiente: da quello delle multinazionali, alla malavita organizzata, passando per le scuole, le pubbliche amministrazioni, la famiglia. 

Fin da piccolissimi subiamo questa angheria del confronto: “Guarda quel bimbo come è bravo a tavola!” Ci soffermiamo su ciò che ci conviene, tralasciando il fatto che non abbiamo idea di chi sia quel bimbo e che, visto che non lo conosciamo appunto, potrebbe essere un puro caso e che, magari, in quel momento sta covando l’influenza, oppure è sedato. Nella maggior parte dei casi, comunque, non abbiamo idea del vero “valore” dell’altro. 

Questa modalità sociometrica – teorizzata da Jacob Moreno – è ad oggi il miglior strumento per il controllo della felicità e, in particolare, il modo migliore per creare in noi domande preimpostate. Sappiamo perfettamente cosa chiederci perché non siamo noi a porci delle domande, ma è il sistema che lo fa per noi, creando “esigenze che nemmeno sapevamo di avere“. E’ la dura legge del mercato, e non solo globale. I moderni computer, lo sviluppo delle neuroscienze, i social media e l’utilizzo compulsivo degli smartphone, costituiscono l’ultimo anello per il controllo della felicità ai fini del consumo. Basti pensare a Facebook, Instagram e, ultimamente Linkedin, a quali straordinarie palestre sociometriche siano diventati in brevissimo tempo. Una gigantesca rete di contatti interconnessi dove, alla base, c’è il confronto, la spersonalizzazione di ogni gesto e azione. 

I grandi player mirano a creare la grande industria della felicità, consolidando il concetto di felicità economica e rosicando il bene più prezioso che ogni uomo ha, il tempo. La felicità è intimamente legata al tempo: riducendo ai minimi storici il tempo utilizzabile per le nostre attività, i nostri desideri e le nostre passioni, viene ridotta la felicità che diventa merce di scambio per un like o un commento (portatori di dopamina) e che crea profitto ai grandi togliendo, non solo soldi, ma gioia agli utenti. 

Keypoint: la felicità è uno stato d’animo, una conquista. Non va barattata con nulla, tanto meno con un click.

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