automazione

#137. AUTOMAZIONE E LAVORO

Non ho idea di quali saranno gli effetti sulle strutture economiche nazionali che l’automazione porterà, ma ho un’idea di quello che, con buona approssimazione, potrebbe essere l’ambiente lavorativo e che aspetto avrà agli occhi di chi, nel bene o nel male, conserverà il suo lavoro. 

Spesso tendiamo a visualizzare l’automazione in termini pionieristici ed eroici, edulcorata da un cibernetico socialismo: ci si immagina schiere di trattori automatici che solcano campi di grano in perfette linee parallele lunghe decine di Km, enormi magazzini a consumo ridotto dove bracci robotici prendono, imballano, impacchettano e inseriscono all’interno di container di metallo, pallet perfettamente incastrati. Ma riguardo l’industria – che è la prospettiva che pesa di più – automazione significa anche tecnologie molto meno sofisticate e complesse, come i piccoli totem touch screen che McDonald’s ha iniziato ad installare nei suoi “ristoranti” dal 2014. 

In effetti automazione significa, purtroppo, tutto ciò che può ridurre (o eliminare) la necessità di lavoratori umani, che siano robot che imballano, monitor biometrici, applicazioni dello smartphone o il ridisegno di un processo produttivo. Anche le signorine delle informazioni in aeroporto (chissà perché sempre donne…? Sicuramente perché è un lavoro mal pagato) sono destinate a sparire per dare posto a più freddi e, spesso, inefficienti chioschi tecnologici. 

Steve Easterbrook, amministratore delegato di McDonald’s, insiste sul fatto che portare sistemi di automazione on line nel settore dei servizi non eliminerà posti di lavoro, ma permetterà soltanto di impiegare i propri lavoratori con più “valore aggiunto“. Mah…

Ed Rensi, ex responsabile di McDonald’s degli Stati Uniti sostiene invece l’esatto contrario. Si è espresso in modo “leggermente” più lapidario e in occasioni molto delicate: durante una campagna contro l’aumento del salario minimo a 15 dollari l’ora, ha evidenziato che è molto più conveniente e redditizio introdurre un braccio robotico del valore di 35.000 dollari, che assumere un addetto inefficiente che impacchetta patatine per 15 dollari l’ora. Qualsiasi sia la posizione che prevalerà – e l’impietosa analisi dello stato di fatto sostiene senza grossi dubbi quella di Rensi – è chiaro che da qui ai prossimi dieci anni, la componente umana che resisterà nella forza lavoro, e non solo di McDonald’s, non avrà momenti facili. 

A chi resterà verrà chiesto di fare di più, ad un ritmo più sostenuto e, verosimilmente, per una paga identica se non più bassa. Uno degli indicatori più forti di questa tendenza è da ricercarsi nei magazzini di Amazon, che assume gli addetti di magazzino con contratti a tempo determinato e sempre attraverso agenzie interinali e con ben pochi diritti. Il controllo è in tempo reale ed è un algoritmo a calcolare il rendimento dei lavoratori. Algoritmo che, naturalmente, si basa esclusivamente su fattori meccanici che non può – e NON DEVE – occuparsi di elementi soggettivi come emotività, creatività, bioritmo, stato emozionale. 

In tali circostanze, e non solo in Amazon ovviamente, il posto di lavoro diventa un gigantesco laboratorio, a livello globale, dove monitorare e tarare performance. Nella grande catena di distribuzione americana Target, un sistema automatico legato alle casse classifica ogni operazione dell’addetto alla cassa come verde, giallo o rosso, a seconda della velocità e di precisione con la quale viene eseguita. Una volta registrati i dati, le valutazioni sono utilizzate per determinare il compenso del cassiere. Wow! Non so cosa, ma sicuramente qualcosa stiamo sbagliando…

Keypoint: in seguito alla totale automazione valuteremo l’essere umano non per il vantaggio che ha portato nel lavoro, ma per ciò che è interiormente. Ci rivaluteremo come individui, unici e insostituibili. Spero. 

Spread the word. Share this post!

Leave a comment

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *