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#147. IL MITO DELLA GAVETTA (IN ITALIA)

Troppa gente crede di fare il salto senza fare la necessaria gavetta“. “I giovani vogliono tutto subito, ma prima bisogna farsi il mazzo per meritarsi certe posizioni!
Quante volte abbiamo sentito dire, ci siamo sentiti dire e abbiamo detto frasi simili? Non si contano. Tutto giusto, per carità, ma qual è una durata adeguata di questa fantomatica gavetta? No, perché è da parecchio tempo che sento parlare di gavetta e che “non si finisce mai di imparare”, ma un conto è continuare a crescere, un conto è restare nel praticantato tutta la vita. Sembra che per alcuni ci sia un diritto acquisito a crescere, a fare strada, ad avere una carriera, seppur modesta, nel proprio campo d’azione; per altri, invece, ciò non accade e non accade soprattutto in Italia.  

I Beatles, nel giro di 3/4 anni divennero il gruppo più popolare della storia della musica. Si formano nel 1960, si sciolgono nel 1970. Tutti tra i 19 e 20 anni, hanno un successo planetario. Agli inizi della sua carriera, il 3 aprile 1956, Elvis prende parte ad uno degli spettacoli TV più visti degli stati uniti, il Milton Berle Show: 40 milioni di spettatori assistono entusiasti alle sue esibizioni, la carriera decolla. Aveva 21 anni. 

Una giovane cantante cresciuta a Kentwood, una piccola comunità della Louisiana, è considerata – a pieno titolo – una delle più influenti icone pop degli ultimi anni. Secondo Billboard ha rivoluzionato la musica e la cultura pop internazionale. L’album “Baby One More Time“, solo negli Stati Uniti, fu certificato quattordici volte disco di platino, vendendo mondialmente 30 milioni di copie. La ragazzina in questione è Britney Spears e ha, oggi, 37 anni. 

Insomma, potremmo andare avanti all’infinito. Cosa succede, ora, in Italia? Che giovanissimi artisti hanno un grande successo – locale – sono pompati senza alcuna cura e supporto psicologico, durano una stagione, un soffio e spariscono. Non che il modello americano sia molto più sano, anzi, ma mutuare quel sistema alle nostre latitudini sta sballando l’approccio. Non c’è alcuna cura del talento, contratti spazzatura, usa e getta. Tutto questo, poi, si ripercuote in ogni settore professionale, da quello industriale a quello produttivo e dei servizi: il lavoro fatica – per usare un eufemismo – a ripartire, non si fanno investimenti, non c’è alcun turn-over; i vecchi muoiono lavorando e i giovani sono costretti ad andarsene. 

La gavetta, in Italia, per alcuni dura tutta la vita. Ma non quella buona, quella sana, quella che ti permette di dire con orgoglio “oh! Anche oggi posso imparare qualcosa di nuovo“; no! A noi ci tocca la gavetta becera, quella fatta di umiliazioni, di infiniti “adesso devo ricominciare” nello stesso campo, dove il valore dell’esperienza non esiste. In Italia siamo giovani a 50 anni e vecchi a 51. Questo non è normale quando andiamo in giro per il mondo a confrontarci con persone che hanno 15/20 anni di meno. La gavetta è, in realtà, un grande bluff e qui sanno benissimo come approfittarne.

Cosa stiamo lasciando ai giovani? Che valore stiamo dando alle nuove generazioni? Se un numero sempre maggiore di persone fugge all’estero finiti gli studi, quali sono le certezze che stiamo costruendo? E quale valore hanno i nostri “veterani”? Se a 50 anni non abbiamo gli strumenti psicologici ed istituzionali per reinventarci, perché è quello che ci chiede un mercato confuso, quali prospettive si presentano?


Keypoint
: abbiamo molte domande e poche risposte, e quelle poche sono anche un po’ confuse. Tocca essere positivi e rimboccarsi le maniche, la gavetta è ancora lunga. 🙂 

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