“Il tempo non scorre in linea retta, ma si curva. Inizia lento, accelera, poi si restringe. Proprio come un logaritmo. Questo articolo è un viaggio tra matematica e percezione, tra numeri e vita vissuta. Un invito a rileggere il tempo non come quantità, ma come intensità.”
L’inizio del viaggio
C’è qualcosa di misterioso nel tempo. Lo sentiamo, lo rincorriamo, lo perdiamo, lo misuriamo. Ma capirlo? Quello è un altro discorso. Eppure, a volte, basta uno sguardo alla matematica per intravedere una verità più profonda. Non una formula, ma una chiave. Una lente filosofica. Un’intuizione che ci cambia.
Il logaritmo è una di quelle chiavi. Una curva che inizia con una corsa, poi rallenta. Ma senza fermarsi mai. Come il tempo della vita.
Questo articolo è un viaggio nella percezione, nell’arte, nella memoria. Ma anche nella matematica, nel rigore e nella bellezza dei numeri. Perché sì: c’è un legame profondo tra il modo in cui cresciamo, creiamo e sentiamo… e il modo in cui crescono i logaritmi.
1. La curva invisibile della vita
Il tempo è uno degli enigmi più affascinanti che l’essere umano abbia mai affrontato. Fin dalla notte dei tempi abbiamo cercato di definirlo, misurarlo, imbrigliarlo. Eppure, rimane un mistero.
Stephen Hawking diceva che “il tempo ha avuto un inizio, ma non avrà fine“. Un’idea potente, che ci spinge verso l’infinito con la consapevolezza della nostra finitezza. Siamo esseri limitati, sospesi tra due abissi: l’eternità da cui veniamo e quella verso cui andiamo. In mezzo, un battito di ciglia chiamato vita.
Anche Leopardi, pur senza le formule della fisica, lo aveva intuito. Nel “Dialogo di Federico Ruysch e delle sue mummie” immaginava cadaveri che si risvegliano solo per rendersi conto che la morte, in fondo, è il vero riposo dal peso dell’esistere. Il tempo come illusione, come condanna, come danza tragicomica.
Eppure, in questa danza, ci siamo noi. E c’è una cosa che tutti percepiamo: il tempo cambia mentre cresciamo. Non fuori, dentro. Le giornate non sono più quelle dell’infanzia. Le estati si accorciano. Gli anni sfrecciano. I ricordi si accumulano, ma sembrano dissolversi più in fretta. la gioranta finisce in un battito di ciglia e dopo esserci alzati dal letto, ci ritroviamo a chiederci “ma oggi è volato…”
Perché?
La risposta non è (solo) poetica. È matematica. A 5 anni, un anno rappresenta il 20% della tua vita. È una porzione gigantesca, un mondo. Ogni estate è un’era. Ogni giorno è un’avventura. A quell’età possiamo annoiarci…ora mi sembra quasi impossibile potermi annoiare.
A 50 anni, quello stesso anno è appena il 2% del tuo vissuto. Una scheggia. Un frammento. È come se l’unità di misura del tempo si riducesse, diventasse più fine, più sottile. Come se ogni nuovo anno fosse percepito non per quello che è, ma per quanto poco aggiunge a ciò che già hai vissuto.
Il tempo, quindi, non è lineare. È logaritmico. Cresce, ma rallenta nella percezione. Si allunga come un elastico che perde tensione.
La nostra mente, nel suo misterioso funzionamento, non registra gli eventi come punti equidistanti, ma li colloca su una curva che si restringe. Le esperienze nuove si affollano nella giovinezza. Poi subentra la ripetizione, la familiarità, l’abitudine. E la memoria si fa selettiva, simbolica, astratta.
Questa contrazione percettiva è profondamente psicologica. I ricercatori parlano di “compressione del tempo soggettivo“. È come se il nostro cervello smettesse di tenere traccia di ciò che conosce già. L’ignoto dilata, il noto comprime. Un bambino che vede il mare per la prima volta lo ricorderà per sempre. Un adulto che lo ha visto cento volte… lo registra a malapena.
Il tempo, per come lo viviamo, è funzione della novità. Ma anche della consapevolezza. Più capiamo, più il tempo sembra accelerare. Più siamo presenti, più tutto ci appare fugace.
Ecco perché la vita è una curva invisibile. Inizia con l’infinito della meraviglia e finisce con la vertigine della velocità. Il logaritmo, nella sua forma pura, descrive proprio questo: un inizio travolgente, una crescita impetuosa, poi un rallentamento progressivo. Una curva che non si ferma mai, ma si stira. Come i nostri anni.
Capire questa curva non è solo esercizio intellettuale. È accettare che la memoria non è affidabile. Che il presente non è eterno. Che l’unico modo per allungare davvero il tempo… è abitarlo.
Chi riesce a rallentare la percezione del tempo, riesce a vivere più a lungo – non biologicamente, ma emotivamente.
Il bambino che gioca dimenticando tutto. L’artista che si perde in un dettaglio. L’amante che si accorge che una notte può durare quanto una vita.
Sono tutti esempi di una mente che abita il tempo pienamente. Che lo rende di nuovo espansivo. Che risale la curva. E forse, proprio lì, tra mistero e consapevolezza, tra formula e poesia, possiamo tornare ad avere un assaggio di infinito.
2. Il logaritmo spiegato con semplicità (ma non troppo)
Non farti spaventare dalla parola. “Logaritmo” non è il nome di un demone di Dungeons & Dragons, né il titolo perduto di un manoscritto di Lovecraft. È molto più semplice, e molto più affascinante.
Un logaritmo è, in fondo, una domanda. Non quanto è il risultato di qualcosa… ma da dove è partito (quel) tutto.
Se l’elevamento a potenza è l’atto “eroico” — Alice che cade nella tana del Bianconiglio e finisce in un mondo surreale — il logaritmo è il percorso inverso. È il ritorno alla superficie, ma con una consapevolezza diversa. Non sei più la stessa Alice di prima. Sei cambiata.
Nella matematica, se diciamo che 2 elevato alla 3 fa 8 (2³ = 8), allora possiamo chiedere: “a quale potenza bisogna elevare 2 per ottenere 8?” La risposta è il logaritmo: log₂8 = 3.
Il logaritmo, quindi, non ti dice quanto grande diventa qualcosa. Ti dice quanto ci vuole per arrivarci. Ti misura il tempo, lo sforzo, l’energia necessaria per raggiungere una certa soglia. È la controparte filosofica della crescita.
Non a caso John Napier (Nepero), il matematico scozzese che formalizzò per primo i logaritmi, li pensava come strumenti per “avvicinarsi a Dio attraverso l’armonia delle proporzioni”. Non numeri aridi, ma scale celesti. Charles Babbage, uno dei padri dell’informatica, e inventore primo calcolatore universale programmabile, considerava il logaritmo come un ponte tra l’ordine della natura e la potenza del calcolo umano.
Pensaci: all’inizio della vita siamo “in potenza”. Come 2¹⁰. Carichi di possibilità. Energia pura, che non sa ancora cosa diventerà. Poi, col tempo, inizia il processo inverso. Riduci. Comprimi. Ti trasformi da potenza a logaritmo. Non sei meno. Sei più definito. Più concentrato. Più vero. E forse più centrato. Ricordi la domanda chiave del logaritmo? “a quale potenza bisogna elevare X per ottenere Y?” Ecco, a cosa dobbiamo ambire per diventare ciò che vogliamo essere? Non più in potenza, ma effettivamente.
Il logaritmo, in questo senso, è il viaggio dell’eroe che torna. Con le cicatrici, sì. Ma anche con la saggezza e l’esperienza.
3. Quando la matematica diventa filosofia (e viceversa)
La matematica, se la guardi da vicino, ha più a che fare con la poesia che con le calcolatrici. È un linguaggio dell’anima, una danza di relazioni, proporzioni, eleganza.
E se c’è un punto – tra i tanti in verità – in cui filosofia e matematica si danno la mano, è proprio nel concetto di logaritmo. Perché qui si parla di trasformazione. Di ritorno. Di interrogazione.
Quando Eraclito diceva “non ci si può bagnare due volte nello stesso fiume”, parlava anche del logaritmo, anche se non lo sapeva. Perché il logaritmo è proprio questo: una misura del cambiamento nel cambiamento. Non è solo quanto qualcosa cresce, ma come quella crescita rallenta, si plasma, si adatta, si “fà”.
Il tempo stesso — come teorizzato da Einstein — non è costante. Si dilata, si curva, dipende dalla velocità, dalla massa. E allora perché ci stupiamo se la nostra percezione segue un comportamento simile?
Il logaritmo è la formula nascosta nelle pieghe del tempo. È la prova matematica che l’esperienza ha un peso specifico. Che una giornata può valere dieci anni, e che dieci anni possono non lasciare traccia.
Ecco perché chi ama la matematica spesso, ma non sempre, sa leggere il mondo. Non per dominarlo, ma per rispettarne la struttura. La logica. Il ritmo segreto.
E tu, mentre leggi, stai facendo un piccolo atto matematico: stai cercando una formula che ti aiuti a capire. Non a calcolare, ma a sentire. È anche questo, in fondo, il ruolo della filosofia.
4. L’arte logaritmica – vivere con densità
L’arte è una trappola temporale. Una buona. Un inganno che dilata, sospende, immobilizza il tempo.
Quando osservi un quadro che ti rapisce, il tempo si ferma. Ma poi riparte, e ti accorgi che quella mezz’ora in galleria ha cambiato qualcosa. Ti ha riempito.
Questa è la vita logaritmica dell’arte. Non serve fare mille esperienze. Serve viverne una in modo autentico. Un suono. Un volto. Un’ombra. E ti cambia.
C’è un concetto in fisica chiamato entropia dell’informazione. Più un sistema è complesso, più dati servono per descriverlo. Ma spesso, una sola variabile ben scelta può raccontare tutto. L’arte è così. Un verso, una pennellata, un’intonazione… e l’universo si dischiude.
Quando a 15 anni ascolti una canzone e ti piace, è chimica. Quando a 45 anni ascolti la stessa canzone e piangi, è logaritmo. C’è dentro la tua storia. La tua perdita. La tua gioia. Ogni ascolto è un ritorno, ma con bagaglio.
In arte, come nella vita, la curva non è lineare. All’inizio tutto stupisce. Poi, solo il vero riesce a farlo ancora. E questo è un altro modo per dire: stai viaggiando su una curva logaritmica. E va benissimo così.
5. L’esperienza: meno quantità, più profondità
Da piccoli vogliamo tutto. Veloce. Subito. Non è colpa nostra: siamo nella fase esponenziale. L’energia è tutta lì, in potenza. Cresciamo, impariamo, sbagliamo. E ogni errore ci sembra la fine del mondo.
Poi arriva il tempo della selezione. Del “questo sì, questo no“. Ci accorgiamo che il menù della vita è vastissimo, ma lo stomaco è uno solo. E che la qualità, alla lunga, vince sulla quantità.
È come se il tempo ci dicesse: “Ora che hai corso, puoi iniziare a camminare. Ora che hai gridato, puoi iniziare ad ascoltare.”
Un minuto con chi ami davvero vale più di una giornata con chi non ti vede. Un’idea che ti cambia vale più di cento nozioni messe in fila.
Più si va avanti, più il tempo si concentra. Diventa viscoso, carico, pieno di simboli. Ogni cosa accade su più livelli. Ogni gesto è una metafora. E noi ci muoviamo dentro questa foresta semantica come viandanti attenti, finalmente capaci di riconoscere il valore dell’ombra.
Il logaritmo è questo: una progressiva presa di coscienza.
6. Storie dalla mia vita (o forse anche dalla tua)
Mi è capitato — e forse è capitato anche a te — di riascoltare qualcosa che avevo creato anni fa. Una canzone. Un testo. Una foto. All’epoca non mi convinceva. Mi sembrava incompiuta.
Oggi? È piena! Non perché è cambiata lei. Sono cambiato io. E nel mio sguardo di oggi, quella cosa è diventata vera. Perché sono salito lungo la curva. Ho guadagnato profondità.
Quando ero più giovane, e mi spacciavo per fotografo, facevo mille scatti. Sempre in cerca di “quello giusto”. Oggi? Ne faccio pochissimi. A volte uno solo. Ma dentro quel solo scatto c’è tutto. La luce, la fatica, l’attesa. E forse anche un pizzico di antimateria: tutto quello che non si vede ma pesa.
Ogni giorno porto con me una sensazione: sto diventando più lento, ma più preciso. E forse questa è la ricompensa del viaggio logaritmico. Una lentezza piena. Una lentezza che non è rinuncia, ma scelta.
7. Il sapere che ci salva
C’è chi dice che il sapere non serve. Che la vita va vissuta, non capita. Ma chi dice questo, spesso, ha paura di guardare in profondità. Ha paura che comprendere tolga poesia. Che la razionalità porti via il mistero. E invece è l’esatto opposto.
Capire è un atto di fede. Un atto d’amore. Non per ridurre la vita a un’equazione, ma per danzare con lei al ritmo della sua logica invisibile.
Il sapere — inteso come desiderio di capire, come curiosità strutturata — ci salva dalla superficie. Ci impedisce di vivere solo in automatico, solo nel consumo, con il pilota automatico. E ci restituisce un privilegio raro: vedere la struttura delle cose.
La matematica, in questo, è disarmante. Non perché spieghi tutto, ma perché sa di non spiegare tutto. Si accontenta di costruire ponti tra l’invisibile e il tangibile. Il logaritmo è uno di quei ponti.
È la misura dell’esperienza. È il gesto che ci riporta a casa, che ci aiuta a capire perché tutto sembra andare più veloce ma noi, dentro, diventiamo più lenti. E più pieni.
C’è qualcosa di profondamente spirituale nel sapere che ogni crescita, ogni scoperta, ogni consapevolezza ha un costo. E che quel costo non aumenta in modo lineare. Ogni nuovo pezzo di verità richiede un investimento crescente di tempo, di attenzione, di presenza.
Ma è un investimento che ripaga.
Il logaritmo ci insegna che non è tutto qui, ma che ogni passo ci avvicina a una comprensione più autentica. Una che non grida, ma sussurra. Non impone, ma illumina.
Ecco, allora, che sapere diventa una forma di salvezza. Non per essere i più furbi, ma per essere i più presenti. Non per dominare il mondo, ma per abitarlo con delicatezza.
Quando conosci la curva, puoi camminarci sopra senza inciampare. Puoi riconoscere che quella lentezza finale non è decadenza, ma rivelazione. E che ogni istante è più pieno proprio perché ne comprendi il peso.
E il sapere, se davvero è profondo, diventa alla fine un ritorno all’ignoto. Ma con occhi nuovi. Più gentili. Più veri.
8. Il tempo che ci resta (e come usarlo)
Quando si parla del tempo che ci resta, di solito si intende il tempo che manca. Come se la vita fosse una clessidra e noi fossimo lì a guardare l’ultima sabbia scendere.
Ma se davvero tutto segue una curva logaritmica, allora il tempo che resta non è semplicemente meno tempo: è tempo diverso.
Un tempo che si distende. Che non si misura più in ore o giorni, ma in densità. Un tempo che non ha più bisogno di numeri interi, ma di frazioni finissime. Di dettagli. Di silenzi. Di sguardi.
È un tempo che non si spreca con l’urgenza. Ma che si colma con l’essenza.
E allora la domanda vera diventa: come lo usiamo questo tempo lento?
La risposta non è unica. Ma una via possibile è questa: lo usiamo per tornare. Per integrare. Per semplificare. Come fa il logaritmo con il numero: lo prende, lo smonta, ne cerca la radice. Vuole sapere “quanto c’è dentro davvero”.
Noi possiamo fare lo stesso con noi stessi.
Prendere le nostre giornate e chiedere: cosa conta davvero? Cosa ci nutre? Cosa resta, quando tutto si sbriciola?
Il tempo che ci resta è quello in cui possiamo finalmente scegliere. Non tutto. Ma meglio.
Possiamo scegliere di non correre più dove non serve. Possiamo scoltare prima di parlare…e possiamo scegliere il silenzio come risposta.
Il tempo finale, nella curva logaritmica, è quello che assomiglia a una linea orizzontale. Ma in quella linea piatta, se la sai leggere, c’è una verticalità immensa. È lì che si apre la profondità.
Il tempo che resta è un tempo verticale. Non va da oggi a domani, ma da te a te. Dal mondo esterno a quello interiore.
E la cosa più bella — e più difficile — è accettare che non serve più diventare qualcosa. Serve solo essere. Essere in ascolto, in pace. “Pieni”.
Forse è questa la soluzione che cercavamo fin dall’inizio. Non fermare il tempo. Ma cambiarne la qualità. E se il logaritmo ci ha insegnato qualcosa, è proprio questo: che la curva può rallentare… ma il senso, se vuoi, può esplodere.
Il cerchio si chiude (o forse si apre)
Il tempo è logaritmico. E noi siamo su quella curva. Non abbiamo bisogno di una spiegazione, ma abbiamo bisogno di una visione; e quando la matematica incontra l’arte, quando un concetto astratto si fonde con la nostra carne e la nostra storia… allora succede qualcosa di raro.
Capisci chi sei e capisci dove vuoi andare.
Per questo ringrazio i numeri, perché a volte servono proprio loro per ricordarci quanto vale un istante.