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#121. NON HO TEMPO

Com’è che si dice? Carpe diem, tempus fugit, chi ha tempo non aspetti tempo, chi dorme non piglia pesci, il tempo è tiranno. Queste sono solo alcune delle frasi che ci sorbettiamo – e autoimponiamo – per descrivere il nostro rapporto con il tempo. “Non ho tempo” è la frase che ho usato di più fino a ieri e che mi sono sentito dire di più negli ultimi trentanni. Come se “non avere tempo“, ci dia una sorta di importanza rispetto a chi ne ha. Senza considerare che ognuno è dotato di un identico pacchetto base di ore giornaliere.

Sai, sono impegnatissimo, non è che posso star qui dietro a te“. Ci sta. E’ comprensibile. Ma come diceva quel mattacchione di Einstein “Il tempo è relativo, il suo unico valore è dato da ciò che noi facciamo mentre sta passando.” La sua qualità non dipende dal numero di ore che impegniamo a fare delle cose, ma il tempo che dedichiamo alla nostra felicità. Lavorare 10/12 ore al giorno non è il modo migliore per essere felici e sì, bisogna fare di tutto per cercare di esserlo. Nel lecito, ovviamente. 🙂  

Per avere più tempo non ci sono formule magiche, ma solo azioni e, una su tutte, quella di scalare la marcia. Davanti ad una affermazione del genere, molti assumono atteggiamenti di difesa, del tipo “sì, certo, rallentiamo. Voglio vedere te come fai con…” e qui possiamo metterci di tutto: dai figli alla famiglia, dal lavoro (spesso anche se non lo abbiamo…) passando per le passioni più forti, e ancora la casa, la spesa e tutto il pacchetto completo. Appena pensiamo a scalare la marcia per rendere la vita meno frenetica ci immaginiamo, magicamente, a vivere in campagna, a viaggiare per un anno in giro per il mondo a ritrovar noi stessi, a partire per le missioni in Africa. Ma così è impossibile pensare di fare anche un piccolo cambiamento! E’ come pensare di iniziare a curare qualche pianta credendo di ereditare un vivaio di decine di ettari, è chiaro che ci scoraggeremo! 

Si deve iniziare dai piccoli gesti quotidiani, da quelli che, Bruno Contigiani, chiama nel suo libro “Vivere con lentezza“, comandalenti. Un intelligente gioco di parole per descrivere un elenco di piccole azioni quotidiane per iniziare il cambiamento. Dallo svegliarsi alla mattina per provare a diventare come Monica Bellucci, all’occupare il tempo in fila alla cassa per programmare la serata o fare due chiacchiere con il vicino. Sì lo so, sono robe un po’ campate in aria, ma non le ho scritte io! 🙂  

Qualcuno dice che il tempo che troviamo per lavorare è infinito, mentre quello per tutto il resto è finito. Quando si tratta di lavorare siamo capaci di inventarci una nuova teoria della relatività per rubare qualche attimo (fuggente) alle pieghe del tempo. Li scoviamo come i formichieri scovano le formiche nei formicai; ma quando si tratta di trovare il tempo per qualsiasi altra cosa, allora ogni scusa è buona. Lo dico a me per primo. Io sono una vittima sacrificale del tempo che scorre, ma voglio cambiare e lo sto facendo: con non poche conseguenze. 🙂 

Ogni giorno, dal primo gennaio 2018, mi ritaglio almeno un’ora per scrivere quotidianamente sul mio sito. Lo faccio al mattino presto, sperando che la notte – spesso insonne – mi abbia portato consiglio ed ispirazione. L’anno scorso, esattamente in questo giorno, ho lasciato un paio di importanti clienti che facevano l’80% del mio guadagno. L’ho fatto per avere più tempo per me e potermi dedicare a qualcosa che mi piace di più. “Te sei matto“. Probabile. 

E’ stato un sacrificio a livello economico? Certo! Guadagno molto meno. Ho avuto dei ripensamenti? Alla grande! Li ho avuti, e non ho smesso di averli per un bel po’ di tempo. Non nascondo qualche pensiero anche ora ma, pian piano, vedendo le mie conoscenze in altri ambiti crescere, constatare con i miei occhi che posso fare altro dedicandomi alle mie passioni, avere la possibilità di accompagnare mio figlio alle sue attività senza dover delegare qualcuno, sono tutti elementi che mi fanno ringraziare il giorno in cui ho scelto di fare questo passo. La cosa bella è che le scelte non finiranno mai. 

L’indecisione più grande deriva dai guadagni mancati, inutile nascondersi dietro ad un dito. La riflessione è stata lunga e complessa e mi sono posto una domanda cardine: “Qual è la cosa peggiore che può accadere“. Ciò comporta rivedere gli “e se poi…“. Diverse volte mi ero posto questo tipo di domande davanti a decisioni simili; ognuno ha i suoi “e se poi…” e sa, in cuor suo, se è il momento di affrontare quello che gli inglesi chiamano downshifting oppure, rimandare. Una volta che ci siamo posti queste domande, potremmo concludere di non essere in grado di affrontare questo cambiamento. Nessun problema! Ognuno ci arriva, se ci deve arrivare, con i suoi tempi e, per esperienza personale, vi assicura che ci si arriva. 🙂 

Ci ho messo due anni per decidere; mi trascinavo in attività che non mi entusiasmavano più, mi capitava di avere rapporti complessi e non mi sentivo capito. Credevo che il mondo mi prendesse, mi sfruttasse per quel che gli serviva e poi, non curante, mi risputasse lì, da dove ero venuto. Nessuna soddisfazione, nessun riconoscimento. Non avevo capito che ero io a farmi del male e non un mondo lavorativo e professionale che andava avanti come uno schiaccia sassi. Il sistema è quello e va avanti indipendentemente dalle persone, dai rapporti, dalle proprie attitudini. Va. Ma come scriveva GibranMi considerano pazzo perché non voglio vendere i miei giorni in cambio di oro. E io li giudico pazzi perché pensano che i miei giorni abbiano un prezzo.

Keypoint: sì, meglio godersela la vita

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