#185. TOLLERANZA VS INTEGRAZIONE
Ormai è sulla bocca di ognuno di noi: che uno sia pro immigrazione o convinto detrattore, chiunque parla di tolleranza e integrazione, interscambiando spesso i due termini, in modo del tutto arbitrario e…sbagliato. Tolleranza significa avere rispetto e sopratutto indulgenza nei riguardi dei comportamenti, delle idee o delle convinzioni altrui, anche se in totale contrasto con le nostre. Nella tolleranza non vi è alcuna azione concreta nell’interazione con il prossimo, chiunque esso sia. Diciamo che ci si sopporta fino a diventare invisibili l’un per l’altro.
Integrazione vuol dire inserimento di un individuo all’interno di una collettività, attraverso il processo di socializzazione e senza alcuna sorta di discriminazione. La differenza, come appare ovvia, è abissale e coinvolge aree e materie eterogenee e non sempre facili da collegare. Risulta inoltre “restrittivo” pensare che questa differenza valga solo tra etnie diverse; in realtà funziona così da sempre risultando l’essere umano sempre più “tollerante”, ma sempre meno disposto ad integrarsi e ad integrare. In una sorta di individualismo di massa, una volta che abbiamo capito di voler appartenere ad una certa comunità (cristiani, somali, elettricisti, calciatori, fotografi, ballerini, aploidi), possiamo raggiungere un livello di tolleranza che ci porta a trattare come estranei quelli di altre comunità.
Dice Humeira Iqtidar, ricercatrice al King College di Londra: “L’idea di tolleranza è divenuta, erroneamente, base concettuale del liberalismo. Ma tolleranza non coincide con integrazione, è mera accettazione, comportamento passivo e non attivo. Questo conduce, all’interno, a parlare di ‘evoluzione’ in riferimento alle comunità musulmane, sottintendendo uno stadio inferiore di sviluppo rispetto a quelle europee; all’esterno conduce al sostegno occidentale a regimi laici anche se dittatoriali. Come in Egitto o in Pakistan, dove si sostengono regimi non islamisti perché si considera l’Islam politico un pericolo intrinseco, seppur sia parallelo al modello democristiano europeo“. Il concetto espresso da Humeira si concentra sul mondo musulmano, ma possiamo tranquillamente sostituire musulmano con cristiano e spostare il discorso dall’Europa ai paesi arabi e la musica non cambia. Così come sostituendo cristiani con pisani e livornesi e così via.
Prendiamo ad esempio la Svezia. In un articolo del 2010 pubblicato sulla stampa da Francesco S. Alonzo, si legge “Quanta ricchezza, quanto vantaggio tecnologico, ma anche quanta solitudine. A mano a mano che gli svedesi vedono progredire la loro nazione, aumenta il numero di coloro (50% della popolazione) che vivono da soli, senza una persona con cui condividere gioie e dolori, chiusi in miniappartamenti dotati delle più moderne diavolerie informatiche ed elettroniche, ma privi di calore umano“. La tendenza svedese di essere creduta nazione dallo spirito di grande integrazione e apertura è un mito ampiamente sfatato. Ma non sono i titoli di cronaca – spesso esagerati per giustificare comportamenti simili nel resto d’Europa – che dovrebbero farci ricredere sull’idea di integrazione della Svezia, bensì il fatto che risultano talmente “tolleranti” che ad oggi conta una delle percentuali più alte al mondo di persone con sofferenza da solitudine!
Questo è il trailer de “La teoria svedese dell’amore” di Erik Gandini, regista bergamasco e già autore di Videocracy (ben poco meritevole a dire il vero, parere personale). La teoria svedese dell’amore è un film che racconta la destrutturazione antropologica avvenuta in 4 decenni in Svezia e che ha portato al risultato odierno. Credo sia un ottimo punto di partenza per capire ancora meglio la differenza tra tolleranza e integrazione e come, questi concetti di base, siano assolutamente estendibili a qualsiasi comunità, esulando dal concetto di immigrazione al quale abbiamo voluto forzatamente legare queste due parole.
Tolleranza e integrazione non sono slegate dal concetto di società, non possono valere solo per chi è “dall’altra parte”. Sono valori che valgono per ogni essere umano, che necessitano di grande senso di responsabilità. Tollerare non aggiunge nulla a nessuna comunità anzi, come è chiaro nell’esempio Svedese, allontana le persone di una stessa comunità. Integrare, invece, significa rendere completo dal punto di vista quantitativo e qualitativo, con l’aggiunta di elementi complementari a quelli che già abbiamo.
Integrazione non significa nemmeno aggiungere a tutti i costi: significa aggiungere ciò che è sostenibile, ciò che è a vantaggio dell’ecosistema e non a danno dello stesso. Non è certo la sede adeguata per approfondire con dettagli storici e sociologici il concetto, ma ci basti pensare che abbiamo, negli anni, tollerato la Shoah e i Gulag.
Keypoint: più integrazione sana e meno tolleranza di facciata.