equilibrista

#270. IL BUSINESS E’ UN FILO, E TU SEI UN EQUILIBRISTA. 

Ogni azienda (ma anche ogni buon professionista) dovrebbe sempre mantenere un equilibrio tra obiettivi a lungo e a breve termine. In buona sostanza dobbiamo essere capaci di vedere lontano pur mantenendo un attento focus sul presente. Non è possibile perdere la visione a lungo termine, perché significherebbe non dare futuro all’attività, ma nel breve termine è necessario prendere le decisione opportune a creare il profitto sufficiente per restare in attività. Ogni imprenditore sa di essere un equilibrista. 🙂

Un equilibrio sottile e molto precario, soprattutto in un mondo così incerto e in costante mutamento. Non più tardi di 15 anni era possibile fare previsioni anche a 5/8 anni, non parliamo di 30 anni fa quando le proiezioni potevano essere di 20/30 anni; oggi sapere che camperai fino all’anno prossimo è già miracoloso. Molte PMI e micro imprenditori fanno i salti mortali per gestire il lavoro a trimestri. La forbice temporale si è “leggermente” ristretta.

E’ impossibile prevedere cosa potrà accadere in futuro, perciò i manager e gli imprenditori più lungimiranti, spesso pianificano gli scenari attraverso domande ipotetiche (WHAT IF). Valutare la probabilità di eventi indesiderati o problemi contingenti non elimina l’incertezza, ovvio, ma argina la possibilità di sorprese. Questo è un approccio complesso da sostenere, soprattutto per un tessuto imprenditoriale e d’impresa come quello italiano, pochissimo abituato a fare previsioni in contesti così mutevoli. Basti pensare che per molti imprenditori italiani la manutenzione predittiva attraverso piattaforme IOT e Cloud è ancora vista come qualcosa di fantascientifico, lontano dalla loro portata. Non ci si rende conto che, non solo è la base, ma siamo già indietro. 

Di recente, la tendenza a diversificare in attività non necessariamente correlate è leggermente diminuita e le imprese, a differenza dei liberi professionisti, si focalizzano sul loro core business, cercando di aggredire il mercato in nicchie sempre più specifiche e concentrate. Per il libero professionista il discorso è decisamente diverso: in una stessa persona si concentrano competenze trasversali che, dall’amministrazione all’operatività tecnica, passando per la comunicazione, abbraccia quasi tutti i rami aziendali. E’ questo status di tuttofare che ha, pian piano, abituato i free lance e i liberi professionisti ad allargare anche le competenze tecniche e operative, trasformando un avvocato civilista anche in un esperto di proprietà intellettuale, un elettricista anche in un esperto di sicurezza, e così via. 

Il vantaggio competitivo che un azienda potrebbe avere nel consolidare i punti di forza in competenze distintive, per avere vantaggi competitivi rispetto alla concorrenza, è teorizzato dagli esperti di management  Gary Hamel e C. K. Prahalad nel loro  “Core Competence Model . Secondo i due manager è fondamentale che le aziende si concentrino sulle loro reali competenze e traggano il massimo vantaggio dai loro punti di forza. Secondo il Core Competence Model (o Hamel and Prahalad Model), le imprese possono muoversi in nuovi mercati più facilmente utilizzando le loro conoscenze chiave. La ragione per definire le competenze di base è il know how tecnico e di processo, unico per ogni azienda, e che, “dovrebbe”, essere difficile da imitare dalla concorrenza.

A differenza dell’approccio “outside-in-view” di Michael Porter, questa teoria si concentra sulla visione interiore e sulle potenzialità che ogni azienda è capace, o potrebbe essere capace, di offrire. Così raccontato sembrerebbe una banalità da quinta elementare, ma in realtà una simile visione prevede una consapevolezza e, a volte, una visione rivoluzionaria dei propri valori, degli obiettivi e dei propri assets. Parlare di rivoluzione, in Italia, non è così semplice. 

Keypoint: bisogna avere una visione, forte e decisa. Il presidente Lincoln scrisse “Una volta deciso che la cosa può e deve essere fatta, bisogna solo farla.

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