#65. TRASFORMAZIONE DIGITALE

Per molti “trasformazione digitale” significa evoluzione tecnologica. In termini più ampi, si pensa alla sempre più costante diffusione di intelligenze artificiali e algoritmi sofisticati. In apparenza può sembrare così, ma la cosa non si limita certo a questo, anzi, non c’è nulla di più sbagliato…o meglio, nulla di più superficiale. 

Far coincidere la digital transformation con la tecnologia è un errore di chi, ogni giorno, usa la tecnologia senza contestualizzarla. Ogni giorno, quasi 3 miliardi di persone in tutto il mondo utilizza uno strumento che ha a che fare con la tecnologia. Facciamo un passo indietro. La trasformazione digitale è solamente una fase della rivoluzione tecnica che è in atto da quasi 100 anni. In questo ultimo secolo sono “capitate” più innovazioni tecnologiche che in tutta la storia pregressa dell’umanità. Almeno così si sembra. 

Un altro atteggiamento un po’ superficiale è quello di credere che le strategie tipiche dettate dal digitale siano appannaggio del marketing, della comunicazione e del mondo cosiddetto visual. Tutto questa apparente confusione porta a credere, in un pensiero un po’ superato e del tutto anacronistico, che ciò che viaggia sulle piattaforme tecnologiche sia, in fondo, virtuale, e che non abbia, in fondo, nulla a che vedere con la vita “reale”. Non solo tutto quello che viaggia sui canali digitali (dal cellulare al forno a microonde intelligente) è vero ma rappresenta come non lo ha mai fatto l’homo sapiens sapiens. 

Per capire profondamente il cambiamento in atto, e che continuerà senza sosta, è importante dare il giusto peso alle parole. Stiamo parlando di relazioni, di comportamenti e cultura, non di silicio e big data. La cosa davvero rivoluzionaria è non esiste il distinguo tra reazione ed azione. Oggi, più che mai, siamo un tutt’uno con la tecnologia e la tecnologia con noi. 

Il digitale è pervasivo, non intorno a noi, siamo noi. Non è semplicemente economia e non è un fenomeno sociologico, non è religione e nemmeno antropologia: è una novità – e lo sarà costantemente – che, altrettanto costantemente, riscriverà i valori su cui costruiamo ogni giorno la nostra civiltà. Si tratta di un pensiero dinamico, euristico; Questa fase, se così vogliamo chiamarla, non durerà un decennio, non segue più la legge di Moore. Oggi i singoli transistor dentro ai circuiti integrati in silicio hanno le dimensioni dei nanometri, dimensione sotto la quale i processi che sottendono alla fisica della materia passano dal comportamento tipicamente lineare ad un comportamento quantistico-probabilistico. Fine.

Ora non ci si ferma più, andiamo oltre la fisica e la matematica. Quando la tecnologia diventa (anche) una questione etica, e non solo squisitamente scientifica, significa che siamo di fronte a qualcosa di decisamente più “invadente” rispetto ad un seppur complesso, calcolatore. 

Il lavoro sta già cambiando, ma siamo solo al banco di prova, fra 25 anni non esisteranno nemmeno i lavori che erano una certezza. L’impiegato amministrativo non avrà senso di esistere, così come il commercialista e, con buone probabilità l’operaio inteso come lo conosciamo ora. Ma le domande da porsi non sono solo quelle classiche del “cosa ci aspetterà nel mondo del lavoro?”

Magari smetteremo di lavorare, ma c’è da chiedersi quali saranno le conseguenze etiche di una trasformazione simile. Se un auto a guida indipendente deve scegliere tra schiantarsi contro un’altra auto con a bordo una coppia di signori o investire una madre con il suo bambino nel passeggino cosa deve scegliere? E perché? Sembrano interrogativi assurdi, ma così non è. 

Sembra incredibile ma la tecnologia per fare “tutto” già l’abbiamo, il vero problema è, ora, la questione decisionale perché, in realtà, l’errore è possibile solo in ambito umano e non in ambito tecnologico. Le macchine non devono sbagliare, ma se l’attività tecnologica prevede un’interpretazione, o una scelta che non sia semplicemente statistica o empirica, ecco che le cose si complicano. 
L’aereo è destinato a cadere, se siamo in mezzo al mare il problema non si pone, ma se siamo su una città e si deve “scegliere” dove farlo cadere per fare meno danni, ecco che la cosa si complica. Perché non è una questione legata al numero di vittime, ma a qualcosa di molto più complesso. Magari il luogo migliore per tentare un atterraggio di fortuna è vicino ad un ospedale che, magari, ha i pochissima densità nei suoi d’intorni ma è l’unico ospedale nel raggio di 80 Km…

Non esiste, in sé, uno svantaggio nella trasformazione digitale. Al di là della retorica del “dipende da come si utilizza“, esiste anche quella del “dipende da come te la offrono“, ma di una cosa abbiamo contezza: la trasformazione digitale ha la possibilità di migliorare la vita di ogni essere vivente sulla terra, senza alcun dubbio. Io sono un sostenitore del digitale, ci lavoro e sono ogni giorno alle prese con aziende, imprenditori e persone che vogliono migliorare. Questo dobbiamo fare, usare la tecnologia per migliorare la nostra vita. Nulla di più, è semplice. 

Keypoint: non esiste svantaggio nella trasformazione digitale; è una questione di coscienza e buon senso. 

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