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#315. SAPPIAMO RESTARE AL NOSTRO POSTO?

Saper restare al proprio posto, cercando di essere consapevoli dei propri limiti e delle proprie competenze, è una capacità diventata sempre più rara. Questo approccio ha portato a due importanti conseguenze: da un lato sempre più persone con la “sindrome” di DunningKruger, dall’altro un crollo della consapevolezza di sé.

Non è raro, soprattutto attraverso le piattaforme social, di doversi scontrare con sconosciuti – o quasi – riguardo a tematiche estremamente personali e per le quali, nel 99% dei casi, non sono stati chiesti pareri. Certo, mi si potrà obiettare che se condividi anche quante volte vai in bagno poi, gioco forza, ti devi aspettare critiche, interventi, pareri. Ma se questo non accade nella vita reale, perché dovrebbe succedere nella sfera virtuale? Dove è finita l’educazione?

E’ piuttosto raro incontrare persone sconosciute o che a malapena salutiamo alla fermata dell’autobus o al bar, e fargli notare quanto stia male con un certo abbigliamento o con un nuovo taglio di capelli. Difficilmente gli faremmo notare il fatto che secondo noi quella pasta con la crema sia veleno, magari consigliandoli di mangiare quella integrale al farro. (Il tutto pensando a quanto sarà bello sfondarsi di vino alla sera, con i peggio stuzzichini che ci vengono propinati agli aperitivi serali)

Io credo che, semplicemente e senza filosofeggiare, non ci si faccia abbastanza i cazzi propri. E attenzione, non parlo di dimenticare il prossimo e di vivere per sé, anzi. L’esatto contrario! Credo fermamente nella condivisione, nello scambio e nella costruzione critica di una discussione, sia sul piano retorico che su quello squisitamente contenutistico; ma la auspico tra persone che, in primis abbiano seriamente qualcosa da dire e che lo facciano con argomentazioni quantomeno plausibili – e non dettate dalla foga del momento – in secondo luogo, sarebbe lieto, che venissero fatte con rispetto ed educazione. Va bene l’irruenza, ma controlliamoci. 

La leggenda di Penelope e Narciso riesce a rappresentare perfettamente la doppia faccia di quella medaglia che è la natura umana: da un lato il valore dell’attesa, della resilienza, dall’altro l’irresistibile gusto dell’egocentrismo. Tra questi due estremi che, per loro natura opposta, si attraggono, si dimena e scalcia l’eterna lotta tra la riservatezza e la sfrontatezza. 

L’idea di approfondire, studiare, leggere su un treno o in un bel caffè del centro, magari facendo l’intellettuale “contro” dall’alto del mio nuovissimo e fiammante MacBook pro, è una di quelle pratiche che quasi mi fanno sentire le farfalle nella pancia…ma è impossibile da praticare. Almeno per me. C’è un casino fuori controllo, una confusione folle. Gente che urla al telefono, piatti, tazzine, bicchieri che sbatacchiano da tutte le parti, persone che spintonano altre persone, che litigano per chi deve prendere per primo il cappuccino.  

Mi chiedo, perché non sanno restare al loro posto? Perché io non grido, non parlo al telefono urlando e soprattutto non faccio durare le conversazioni per tutta la tratta Roma-Milano? Cosa cazzo avete da dirvi di così importante che non possa essere rimandato? E perché non vi alzate e non ve ne andate nelle aree di passaggio? Invece di urlarmi nell’orecchio? Maledetti! Ma in loro aiuto è arrivata la NOTA VOCALE, questa pratica demenziale che porta le persone ad un distacco ancora maggiore. Messaggi basta, telefonate fine, adesso messaggi vocali. Ho visto gente litigare attraverso messaggi vocali di svariati minuti…ma come è possibile che non si chiamino? COME CAZZO E’ POSSIBILE!? 

Ora, più che mai, è importante diffondere una vera “cultura del rispetto” che permetta la convivenza sana. Il traguardo è lì, è segnato dall’individuazione del corretto equilibrio dei rapporti tra individui.

Keypoint: impariamo a restare al nostro posto. 

 

 

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