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#312. CAMBIAMENTO: PERCHÉ CI PIACE CHE LE COSE RIMANGANO COME SONO

L’eventualità che lo status quo sia più sicuro di un eventuale cambiamento è così radicato in noi da indurci all’immobilismo. Protrarre fino all’inverosimile situazioni poco piacevoli non è proprio un gran bel segnale. 

Se c’è una regola di default, tendiamo a non fare nulla per opporci. Una possibile spiegazione può risiedere nel fatto che siamo indotti a pensare all’opzione predefinita da una norma, da una legge o, più semplicemente, da un’abitudine. Pensiamo che, in fondo, sia una scelta “raccomandabile” e che non avrebbe senso pensare di cambiare qualcosa che “è sempre stato così“.

Governi, enti pubblici, assicurazioni, grandi magazzini usano campagne di marketing mirate per giocare ogni giorno con la nostra propensione allo status quo e, in particolare, al timore del cambiamento, quello vero. Sarà facile imbattersi in pubblicità che ci prospettano il cambio dell’automobile con una più moderna, meno inquinante e più confortevole (cambio dell’oggetto), ma non troveremo mai una pubblicità di auto che ci dice “basta acquistare auto, muoviti con i mezzi pubblici!” (cambiamento strutturale). 

La propensione a salvaguardare la staticità e la mancanza di cambiamento, esercita un pericoloso effetto ipnotico sulla nostra capacità di prendere seriamente le alternative che ci vengono offerte. Spesso restiamo ciechi davanti a palesi cambiamenti in meglio: abbiamo paura di ciò che non conosciamo e ci sentiamo sicuri nel nostro piccolo recinto. 

Negli anni, invece, io ho trovato molto più conforto nel cambiamento che nella staticità, e posso fare ancora molto per vivere di cambiamento ogni giorno. ho trovato più risposte negli sconosciuti che nelle persone che conosco da anni, ho scoperto maggiore attenzione da parte di un mondo che non sapeva che esistessi, rispetto a chi mi ha sempre “dato per scontato”. Ho vissuto, e vivo ogni giorno sulla mia pelle, quanto cambiare faccia bene all’anima, al cuore e alle relazioni. 

Anche il grande Leopardi, poeta tutt’altro che dedito al cambiamento e alle grandi avventure scrisse:


“Sono convinto che anche nell’ultimo istante della nostra vita abbiamo la possibilità di cambiare il nostro destino.”


Ma diciamoci la verità, cambiare costa, tanto. Costa fatica, costa soldi e costa sforzi che, spesso, non ci portano a nessun risultato; poi sei solo, tremendamente solo. Soprattutto all’inizio del processo di cambiamento. “Cambia casa” ti dicono…certo, tanto io faccio lo speculatore edilizio e i soldi li trovo nell’happy meal. “Fai un viaggio, vai lontano”. Vabbè. 

Il problema è che ci focalizziamo sulle contingenze, e non allarghiamo la visione. Inoltre ci concentriamo sugli altri e non su noi stessi; ci soffermiamo su quello che hanno fatto gli altri e, spesso, su di noi non vediamo né possibilità né vie d’uscita. Pensiamo di avere solo una scelta: o quel lavoro o nessun lavoro, o quel partner o la solitudine, o la pizza o niente da mangiare. 

La paura è il vero blocco e lo esprime bene Fëdor Dostoevskij quando dice che 


Fare un nuovo passo, dire una nuova parola, è ciò che la gente teme di più.


Molte persone si ritrovano a dover fare un lavoro che odiano e, quando pensano alla possibilità di lasciarlo, viene automaticamente da pensare che resteranno disoccupati. L’ansia successiva è l’equazione “disoccupato” = “morire di fame”. Un altro lavoro? Impossibile!

Ma non è così…. Per quanto a volte sia difficile da vedere, c’è (quasi) sempre un’altra opzione. Può richiedere un po’ di tempo, un pizzico di coraggio, sicuramente un attimo di assestamento e di lucidità alla quale non siamo abituati, ma trovare le soluzioni alternative è possibile, ed è molto più remota la possibilità di non trovarle. L’importante è concentrarsi su noi stessi e sapere che altre soluzioni ci sono, per tutti. 

Keypoint: tutto cambia…anche noi. Se non lo facciamo stiamo violentando la nostra natura.

 

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