improvvisare

#158. SAPER IMPROVVISARE

Chi avrebbe mai pensato che, nella maggior parte dei casi, i migliori risultati arrivano sapendo improvvisare?

A cinquant’anni dallo storico discorso di Martin Luther King, quattro sono le parole che restano incise nella pietra, nella memoria e nell’immaginario collettivo:

“I have a dream”.

Rimane una delle espressioni – gli esperti di comunicazione lo chiamerebbero claim o payoff – più riconoscibili nella storia della retorica, perché rappresentava il ritratto di un futuro migliore. Vi sembrerà incredibile, ma l’idea del “sogno” non era affatto prevista nel discorso scritto di King.

Nella bozza scritta dall’amico e compagno di battaglia Clarence Jones non vi era traccia né era stata fatta un’aggiunta da parte di King. Durante il discorso, Mahalia Jackson, una cantante gospel molto amata dall’attivista King e che si trovava proprio dietro di lui, gridò: “Parlaci del sogno Martin!“. King parlava attenendosi agli appunti scritti, ma la donna continuò a spronarlo gridando di parlare del sogno. Davanti ad oltre 250.000 persone e milioni di telespettatori davanti alla TV, King cominciò ad improvvisare: mise da parte i fogli con il discorso scritto e cominciò a parlare della sua visione del futuro, improvvisando. 

Quando pianifichiamo con molto anticipo, spesso ci atteniamo alla struttura che abbiamo previsto chiudendo le porte ad altre possibilità creative che potrebbero entrare e rivoluzionare i nostri schemi. Nel libro “Bearing the cross”, David Garrow osserva che King improvvisava come un musicista jazz. 

Come per i musicisti jazz, l’improvvisazione deve essere vissuta come una modalità comunicativa, più che una navigazione libera senza schemi. Ogni musicista (onesto) sa perfettamente che l’improvvisazione in senso assoluto non esiste: ognuno ha un suo “pacchetto” di conoscenze fatto di esperienze, gusti, stato d’animo del momento che, ovviamente, inciderà sulla performance. E’ sì un’improvvisata, ma sempre dettata dal nostro bagaglio tecnico, culturale ed emotivo. Nell’improvvisazione ci deve essere un’onestà inconfutabile perché non esiste l’improvvisazione scritta. 

Oltre a lasciarci il tempo di generare idee innovative, la procrastinazione ha il vantaggio di mantenerci capaci di improvvisare. Lo so, nel 99% dei libri di auto-qualcosa c’è la demonizzazione della procrastinazione, ad ogni corso e seminario di ritrovamento di se stessi, leadership, personal improvement, e altri strani termini che ora non ricordo, rimandare è bandito. Guai! Se rimandi non solo sei inefficiente, ma fallirai inesorabilmente. Molti studi, però, suggeriscono il contrario.

Due ricercatori dell’Accademy of Management, nel 2017 hanno condotto uno studio su oltre duecento imprese indiane scoprendo che, in barba a tutte le nostre credenze, le imprese più redditizie e di successo erano quelle in cui gli amministratori delegati si consideravano non efficienti, precisi e metodici, ma meno reattivi, più calmi e improvvisatori. Qualcuno si definiva “meno efficiente” rispetto agli standard. Di studi di questo tipo ne sono stati condotti a centinaia in molti anni e quasi tutti hanno prodotto lo stesso risultato: le organizzazioni di maggior successo erano dirette da persone che ammettevano di “sprecare tempo” prima di cominciare un lavoro. Questo risultato, apparentemente incredibile, porta con sé una considerazione importante: benché queste bizzarre abitudini potessero portare rallentamenti, permettevano ai leader di essere molto più flessibili dal punto di vista strategico e, una volta ingranata la marcia, raggiungere l’obiettivo senza intoppi.

Le persone originali sono ottimi procrastinatori pur non rinunciando completamente alla pianificazione. Spostano in modo strategico: compiono progressi graduali sperimentando le diverse possibilità offerte dal momento, dallo stato d’animo, dagli incontri. 

Keypoint: non è necessario rinunciare completamente alla pianificazione perché, quando improvvisiamo, abbiamo già pianificato. 

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